La Coreografa e Ballerina Benedetta capanna porta il suo spettacolo, un mix di danza, testi e citazioni cinematografiche con protagonista la città di Roma
Una passeggiata nella quotidianità romana, tra la voglia di fuggire e quella di restare, scandita dalle suggestioni di uno dei più grandi poeti e intellettuali dell’Italia contemporanea: Pier Paolo Pasolini. Questa in sintesi l’anima di Danze Rotte, In Scena! a New York nell’ambito dell’Italian Theater Festival: un mix di danza, testi e citazioni cinematografiche che ha come protagonista la città di Roma. Chi l’ha ideato, “col cuore e tanta passione”, è Benedetta Capanna, coreografa e ballerina a New York ormai di casa (ci ha vissuto per molti anni), che collabora con Excursus, un’Associazione Culturale per la produzione di danza supportata da MIBACT; la sua ricerca coreografica, attraverso un lavoro meticoloso sulla connessione tra mente e corpo, si propone di abbracciare la poesia della fragilità umana e l’urgenza delle sue passioni. Il titolo del lavoro che la Capanna presenta a New York prende spunto proprio dalla dimensione che la coreografa ha vissuto, e vive, con la città eterna: danze che non giungono mai a un termine a causa di “un imprevisto, una difficoltà, un impedimento, uno sciopero…un ricominciare da capo, fino a perdere il senso di ciò che stavo facendo”.
Da dove è nata l’idea di questo progetto teatrale?
Questo progetto è nato a fine agosto del 2013. Ero tornata a Roma dopo la mia tradizionale e immancabile vacanza in Friuli (mia madre è di Pordenone), durante la quale grazie alla professoressa Angela Felice, direttore del Centro Studi Pasolini, avevo ripercorso in una giornata poetica tra temporali, campagna, anedotti e infine un sole che accarezzava l’anima, i luoghi chiave del periodo che Pier Paolo Pasolini passò in quella zona (un paese di temporali e primule). Da quel momento mi sono sentita come accolta dentro una bolla, una visione, un certo modo di vedere e vivere le cose. Tornata a Roma, ero un po’ amareggiata per non dire depressa, un po’ delusa e infastidita dall’ambiente artistico della mia città. E inizialmente per non soccombere a questi pesanti stati d’animo, mi sono cominciata a nutrire di immagini, film, libri di Pasolini, pagine spesso aperte a caso, e ricordando quell’indimenticabile passeggiata friuliana estiva, dove le scarpe facevano schioccare i sassolini delle strade di campagna, mi è venuta voglia di dare un senso al mio vivere a Roma, di essere nata a Roma. In fin dei conti Roma è la città ideale per dare senso alla propria ardente solitudine e forse finalmente farla morire. Come ho scritto anche nella sinossi dello spettacolo: “Voglio fare pace con la città in cui sono nata, dalla quale scappo e in cui ritorno. Città che non capisco, città un po’ madre e un po’ matrigna, città dell’esclusività e dell’esclusione, a volte accogliente a volte irriconoscente.… Una città che prima ti applaude e ti osanna, per poi abbandonarti e scordarsi il tuo nome. Roma che perde la sua identità e non riesce a ritrovarla nella solitudine dei corpi di chi ci vive. Vorrei solo far sedere questa mia solitudine, farla riposare per qualche istante, far cadere la fatalità e credere al potere che c’è tra le mie mani”. Alcuni anni fa, ritornando da New York, atterrai a Fiumicino in un tramonto romano fatto di luce albicocca. Sì, perché solo a Roma la luce è così, e mi tocca il cuore, riempe le crepe del cuore. Questo progetto è per quella luce albicocca, per la sua poesia, e per lo stupore e commozione che ogni volta mi provoca. Girando con lo scooter nel caos romano quotidiano, a volte ai semafori mi guardo attorno, e mi commuove la bellezza di questa città e mi fa rabbia perché troppo spesso non ce ne rendiamo conto. L’amore e la gratitudine per la bellezza dovrebbero essere coltivate, magari insegnate a scuola, per non perdere ciò che siamo e ciò che potremmo essere.
Prima volta a New York?
Non è la mia prima volta a New York. Ho vissuto in questa meravigliosa città per diversi anni e spesso ci ritorno. La mia prima volta risale al 1994, in tour con I Danzatori Scalzi, compagnia di danza romana; andammo anche in New Mexico e atterrai a New York proprio il giorno del mio 21 compleanno…che bei ricordi! Roma è l’amante che sai che prima o poi ti deluderà, New York è l’amico ti abbraccia forte quando ritorni. Mi ci sono trasferita successivamente a 22 anni e questa città ha segnato il mio ingresso nell’età adulta, mettendomi di fronte a tante situazioni nelle quali ho trovato nel bene e nel male aspetti di me e risorse che forse non avrei mai tirato fuori. Il mio allontanarmi da New York è stato un po’ rocambolesco, ma una parte di me non l’ha mai abbandonata. Le amicizie più care che ho anche ora, dopo 20 anni quasi dal mio arrivo nella grande mela, risalgono a quel periodo. A New York ho lavorato come danzatrice in diverse compagnie e ho anche cominciato a presentare i miei primi lavori coreografici. Uno di questi Necklaces (collane) all’Abron Art Center è stato con Laura Caparrotti e la Kairos Italy Theatre (con la quale ho collaborato anche per Black Paintings al The Kitchen e al The Fringe Festival). Negli ultimi due anni a New York ho girato il film Epiphany of Returning con Richard Sphuntoff proprio al Baad Bronx dove presenterò le mie Danze Rotte il 18 Maggio. Più recentemente, ho collaborato con Dance To the People presentando al Movement Research il frutto di una collaborazione fatta attraverso l’insegnamento in alcuni seminari di danza. Devo dire che a New York ho sentito sempre maggiore supporto e ho trovato persone ed artisti che hanno sempre creduto in me. New York è la città dove, se ti rimbocchi le maniche, puoi riuscire a trovare uno spazio e far sentire la tua voce. Per me che sono tendenzialmente un’insicura, ma anche una grande lavoratrice e amante dell’arte e di chi la fa col cuore e con la testa, sicuramente è stata una città in cui mi sono sentita più sicura e ascoltata, senza fare ciò che non so fare… public relation!
Fare teatro in Italia oggi è facile o difficile?
Credo che la difficoltà di fare Teatro e Danza è superata dalla difficoltà di distribuzione degli stessi nel territorio. Il poco sostegno nella produzione infatti può essere sopperito da tanta forza di volontà, desiderio, determinazione, ma se non ci sono circuiti che fanno girare gli spettacoli o se questi circuiti sono chiusi e in mano a lobby, la cosa diventa molto più complessa. Viene tolta la voce a chi non è dentro, e a chi ha una visione o un orientamento diverso da quelli che detengono i privilegi. E quando chi detiene certi poteri e privilegi è un artista mancato sono dolori…
A tuo avviso il teatro italiano è esportabile? Pensi che all’estero ci sia interesse per il teatro italiano?
Credo che il made in Italy anche in ambito artistico e culturale sia apprezzato. La marcia in più e il friccico di fantasia, ci viene quasi sempre riconosciuto. Però in generale anche questo avviene a livello indipendente. Non c’è tanto interesse da parte delle Istituzioni di creare scambi, o supportare questi, se non sono all’interno di circuiti già stabiliti.
Raccontaci protagonisti e temi dello spettacolo.
Questa coreografia è una passeggiata nella contraddittoria quotidianità romana, e l’altalenarsi della voglia di fuggire e di immergersi in essa. Una passeggiata scandita dalle suggestioni, descrizioni e risonanze/assonanze di uno dei più grandi poeti e intellettuali dell’Italia contemporanea: Pier Paolo Pasolini. Sarebbe presuntuoso fare un lavoro incentrato esclusivamente su di lui, per la complessità del suo personaggio e la vastità e l’eclettismo del suo lavoro. Questa danza è dialogo con lo scandire del tempo romano e coi testi e le citazioni cinematografiche – sì, perché Roma sappiamo bene ha un suo scorrere del tempo e una sua luce – e in fin dei conti questa danza è dialogo con la stessa città che a volte sembra sorda o muta a chi ci vive. La protagonista è Roma, o forse il mio desiderio di assaporarla pienamente, di viverla col sue potenzialità. La mia danza che dialoga costantemente con le proiezioni, crea un botta e risposta, e delle riflessioni su questo viverci. Il titolo è Danze Rotte, perché le giornate che trascorro nella piccola grande città di Roma, spesso le vivo come delle danze che non riesco mai a terminare. C’è sempre un imprevisto, una difficoltà, un impedimento, uno sciopero…un ricominciare da capo, fino a perdere il senso di ciò che stavo facendo. Tutto sembra spezzettarsi, perdere senso e sviluppo. Ho la perenne sensazione di camminare senza arrivare mai. Poi però guardo il suo cielo e allora ho l’impressione che una grande finestra si apra a questo azzurro nel mio intimo, si spalanca improvvisamente nel vento e mi chiedo se a Roma diventiamo ombre di questo passato, ombre schiacciate a terra dal passato, ma come ombre pur sempre figlie della luce.
Quale è stata la cosa più bella e quella più difficile di realizzare questo spettacolo?
La cosa più bella e difficile è stata senz’altro il perdermi e il ritrovarmi in tutto questo viaggio. La creazione di ogni spettacolo è sempre un percorso iniziatico verso un qualcosa che spesso all’inizio non sai mai cosa chiaramente sia (un bisogno, un battito, una suggestione?); per quanto puoi avere le idee chiare sulla direzione verso la quale vuoi andare c’è sempre un punto di crisi, in cui avviene una trasformazione. La creazione ti porta in uno stato sottocorticale dove riesci a far venire fuori inconsapevolmente cose inaspettate, che magari riesci a capire anche te solo dopo anni. Ha quindi un potere catartico, come lo stesso portarlo in scena. La difficoltà di stare da soli in sala prove è che spesso rischi di perderti e che tutto il lavoro e la ricerca fatta possano diventare troppo introspettivi e poco fruibili dall’esterno. Quindi c’è bisogno anche di maggiore tempo per capire cosa funziona o no, riprendendo il lavoro col video, lasciandolo decantare, ritornandoci dopo con mente più serena. La struttura generale dello spettacolo ce l’ho avuta chiara sin dall’inizio, soprattutto perché era chiara nella mia testa la scansione ritmica musicale che volevo dargli e le immagini che volevo proporre. Ma in questa griglia ho poi esplorato e trasformato molte cose e sicuramente me stessa. Devo ringraziare Vittorio Giannelli che mi ha aiutato nella prima tessitura musicale, punto di partenza per l’evoluzione successiva. Il lavoro infatti è andato avanti a tappe. Trovato il punto di partenza ritmico e suggestivo, ho dato dei vuoti e delle sospensioni alla danza che volevo fossero domande a cui il video potesse rispondere. E qui subentra la parte che per me è stata più divertente e nuova. Devo ringraziare il regista Mauro Raponi, che mi ha donato il suo talento e le sue capacità, per realizzare questo lavoro. Se non ci fosse stato lui questo spettacolo non sarebbe stato lo spettacolo che volevo fare. È stato molto bello inoltrarsi per Roma, vedere le sue mille facce, come l’imponenza di Piazza del Popolo e la semplicità degli ex voto a Via Prenestina, o trasformare il terrazzo del palazzo dove abito in un set cinematografico! È importante sentire che qualcuno capisce il tuo punto di vista e usa il suo per creare qualcosa di speciale. È bello imparare dagli altri, vedere come forme artistiche differenti possono arricchirsi a vicenda. E nel condividere è più difficile perdersi, soprattutto quando quella condivisione parte da un bisogno profondo di un dialogo vero e pieno di rispetto, con quello che sarà successivamente il pubblico.
Come convinceresti il pubblico a venire a vedere lo spettacolo?
Questa è la domanda più difficile. Sono pessima a pubblicizzare me stessa; ma posso solo dire che il lavoro è stato fatto col cuore e con tanta passione. Mi viene in mente una citazione dal poeta: “Per quali strade il cuore / si trova pieno, perfetto anche in questa / mescolanza di beatitudine e dolore”? Grazie Pier Paolo Pasolini.